10 consigli per ottimizzare il tasso di conversione attraverso un A/B test.

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«Un A/B test è come l’ultima mano di poker. O vai “all-in” o passi.»

Una spiegazione perfetta di Giles Thomas, fondatore di AcquireConvert, su come l’analisi e la successiva implementazione dei risultati di un A/B test porti davvero ad un incremento nell’ottimizzazione del tasso di conversione di un e-commerce.

Per conversione non si intendono solamente le vendite.
Certo per un e-commerce è probabilmente il fine ultimo, ma a seconda del modello di business impostato, è possibile attribuire una conversione ad ogni particolare azione che un utente registra su un sito web.
Iscrizione alla newsletter o al blog, download di un eBook, registrazione di un account o semplicemente navigare tra le pagine.

L’ottimizzazione dell’indice di conversione non è altro che il miglioramento del rapporto tra gli utenti unici che hanno visitato una pagina e chi di questi ha completano l’azione richiesta.

Aumentare indefinitivamente il traffico non garantisce un aumento proporzionale dell’indice di conversione, anzi l’aumento è meno che proporzionale.
La battaglia si gioca quindi sull’aumentare il traffico qualificato o sull’ottimizzazione del primo dei due fattori: l’incremento delle persone che compiono l’azione.

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Le ragioni per le quali il conversion rate optimization è di fatto strategico per le aziende digitali sono le seguenti:

a) Il ROI del CRO: sembra un gioco di parole, invece è piuttosto serio.
La programmatic advertising può essere molto costosa; in mercati ad alta competizione in cui i SEM specialist battono aste su parole chiave che generano una grande mole di traffico, il calcolo del ritorno dell’investimento potrebbe non portare a risultati positivi.
Un A/B test strutturato bene, con un’adeguata implementazione dei risultati, massimizza il ROI con una spesa nettamente inferiore. In questo caso – a parità di traffico – vi è un aumento delle conversioni desiderate e un ottimizzazione più che proporzionale in base al costo di intervento.

Un case study che ha fatto scuola proprio sull’argomento del A/B test è Airbnb.
Una serie di test e il semplice cambiamento da una stella ad un cuore per aggiungere gli appartamenti nella wishlist ha generato un aumento del 30% di engagement da parte degli utenti. Il 30%.

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b) Veicola traffico qualificato e visitatori propensi all’acquisto: ottimizzare questo indice significa aumentare la fidelizzazione di clienti che hanno già acquistato e che molto probabilmente torneranno ad acquistare.

c) Permette al sito web di essere focalizzato sulla propria nicchia di mercato e di aggredirla.
Gli utenti – navigando – esprimo preferenze. Ottimizzare le pagine, eliminando gli elementi non necessari, permetterà al sito di essere perfettamente focalizzato sui bisogni del cliente, incrementando il valore dello stesso e del business correlato.

Un A/B test è una parte importante del processo di ottimizzazione del tasso di conversione e permette di capire come intervenire sul perfezionamento delle pagine, scoprendo quelle più performanti per incrementare le vendite online o le conversioni in genere.

Questi 10 consigli permettono un incremento della conversion rate optimization quando si sta effetuando un A/B test:

1 – Stabilire un goal per il test.

Sembra banale, ma uno dei più grandi errori che viene commesso sitematicamente è non impostare un obiettivo adeguato.
Lo conferma Sean Si, fondatore di Seo Hacker che testando il sito Qeryz, aveva come target l’incremento delle registrazioni “freemium”.
La versione originale del sito non aveva un “sign-up form” a differenza della versione “B”.
Il goal era settato sulla registrazione dell’incremento del numero di “thank-you-page-url” acquisite, dopo aver completato la registrazione dalla pagina di sign up.
I visitatori però non validavano la conversione poichè registravano il form di sign up in homepage. Un lavoro di altre due settimane risolse il problema, generando però un fallimento del test inziale.

2 – Non sorprendere i visitatori abituali.

I visitatori di ritorno conoscono bene il sito sui cui navigano, hanno provato e validato l’esperienza. Soprattutto se la maggior parte delle conversioni arriva da questo tipo di utenza, è preferibile testare su nuovi users.

Se il test riguarda proprio l’aumento delle conversioni, ad esempio con un raffinamento del copy della “value proposition”, colpire un utenza con “occhi nuovi” porta ad una validazione più sincera del test.

3 – Testare la velocità del sito web dopo aver installato l’A/B testing software.

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La performance del sito influisce in modo forte sul CRO.
Un sito lento aumenterà il bounce rate e diminuirà l’indice di conversione.

Attraverso PageSpeed Insights di Google è possibile analizzare quanto lo javascript snippet del software ha peggiorato la velocità di caricamento della pagina.

Google Tag Manager permette di organizzare e unificare tutti gli snippet JQuery in un unico posto, rendendo il sito più snello e quindi più veloce.

4 – Non indicizzare la versione B del test.

In fase di test, le due versioni devono essere veicolate ad un target ben definito o in un giorno particolare della settimana o – ancora – di notte piuttosto che di giorno.

Se la versione B del test viene posizionata in SERP, gli utenti possono raggiungerla accidentalmente da Google e influenzare negativamente i risultati del test.

Aggiungendo al robot.txt file:
User-Agent: Googlebot
Disallow: /versione_b.html

chiederemo allo spider di Google di non indicizzare la pagina.

5 – Testare messaggi personalizzati nelle CTA.

Personalizzare il messaggio verso la propria utenza di riferimento si rivela una strategia largamente efficace.

Uber usa la CTA “Diventa Autista” al posto di un classico “Registrati”. Questa tattica è più personale, più diretta e – visti i risultati – più efficace.

uber-diventa-autista

6 – Incrementare le informazioni fruibili dall’utente.

Kiva.org, organizzazione no-profit, ha aumentato dell’ 11,5% le conversioni aggiungendo F.A.Q., statistiche sui fondi raccolti e citando siti web che hanno scritto delle loro iniziative.

7 – Design responsive.

Non adaptive, responsive.
Un test effettuato sul sito web del Rasmussen College con campus in diversti stati degli USA, ha visto incrementare del 256% i lead generati da una campagna CPC dopo aver implementato la versione mobile.

responsive-design

8 – Non confondere A/B testing con test sequenziale.

Un test sequenziale avviene quando si testa l’incremento del tasso di conversione dopo una variazione e si compara con l’incremento ottenuto da una variazione diversa su un piano temporale differente.

I test sequenziali non hanno validità perchè non si riferiscono alla stessa fonte di traffico.

Il tasso di conversione cambia a seconda delle stagione, del tempo, del giorno o dell’ora della settimana. Un A/B test investiga sullo stesso traffico nello stesso momento ed è l’unico modo per poter validare l’ipotesi di partenza.

9 – Attenzione a non peggiorare il posizionamento in SERP con il test.

Alcuni tool filtrano gli spider dei motori di ricerca dal test per restituire un risulato più accurato.
Se le versioni presentate agli spider e agli utenti sono diverse si può essere accusati di “cloaking” e Google infligge penalità severe per questo tipo di tecniche.

Rivolgendosi all’azienda che fornisce il software di test ci si può assicurare che questa condotta non venga applicata.

10 – Non influenzare il test con preconcetti.

Il focus più importante di questo tipo di test non è tecnico, ma concettuale.
Preconcetti riguardo il target di riferimento possono invalidare il risultato. La chiave di volta del “data driven marketing” è proprio quella di validare i dati raccolti, non cercare di validare un ipotesi iniziale.

Attraverso una metodologia di A/B test è quindi davvero possibile incrementare il tasso di conversione del proprio e-commerce, non passando attraverso l’aumento della quantità di traffico qualificato, ma dall’ottimizzazione e consequenziale intensificazione degli utenti che compiono l’azione desiderata.

Pubblicità su Linkedin: al via l’Account Targeting, come pianificare campagne per azienda

Pubblicità su Linkedin: al via l'Account Targeting

Da poche ore è attivo, su LinkedIn, l’Account Targeting, grazie a cui gli inserzionisti hanno la possibilità di targettizzare le proprie campagne.

Questa nuova funzionalità – annuncia il blog ufficiale del social network – rende possibile per gli inserzionisti personalizzare le proprie campagne con una lista prioritaria di account.

Questa possibilità combinata con un profilo LinkedIn targettizzato, permetterà di commercializzare i prodotti e di generare opportunità alle persone più idonee mediante account più inerenti.

L’obiettivo dello staff di LinkedIn è quello di dare ai suoi utenti una piattaforma che targettizza accuratamente gli influencer e li rende in grado di rilasciare contenuti rilevanti che portano a risultati significativi.

LinkedIn Account Targeting è disponibile per quei clienti che acquistano Sponsored InMail – formato pubblicitario che permette alle aziende di inviare ads direttamente nella inbox dei messaggi in arrivo – e Sponsored Updates – aggiornamenti di pagine aziendali a pagamento.

Come funziona il LinkedIn Account Targeting

I clienti sottopongono a LinkedIn una o più liste di account che intendono raggiungere, utilizzando uno o più formati pubblicitari. A seguire, la piattaforma incrocia questa lista con oltre 8 milioni di pagine aziendali e crea un segmento di target. Per raggiungere ancor meglio gli obiettivi di marketing dei clienti, viene data loro la possibilità di affinare ulteriormente le informazioni addizionali di profilo, come il ruolo all’interno dell’azienda o la seniority, così che la campagna venga mostrata alle persone più appropriate all’interno dell’azienda.

Come funziona il LinkedIn Account Targeting

L’aggiunta della nuova opzione di targettizzazione rientra perfettamente nella nuova strategia di LinkedIn che punta a promuovere la propria offerta pubblicitaria e a creare una piattaforma adv unica che consente di accedere a tutte le soluzioni adv del social.

Milano Moda Donna fashion week: i brand che hanno spopolato su Instagram

Milano Moda Donna fashion week: i brand che hanno spopolato su Instagram

Milano Moda Donna, dal 24 al 29 Febbraio 2016, ha visto sfilare i più grandi brand del fashion, con le nuove collezioni femminili della stagione Autunno-Inverno 2016/17.

Durante i sei giorni della manifestazione, Blogmeter ha lanciato il progetto #InstagramFashionIndex, per monitorare le performance di questi brand.
In questo post, vogliamo mostrarvi i risultati parziali per analizzare il comportamento di successo di un fashion brand su Instagram, in occasione di un importante evento del settore, come è appunto la Milan Fashion Week.

Perché proprio Instagram?

Instagram, che conta più di 400 milioni di utenti attivi al mese, è il social network preferito da brand e stilisti.
La sua crescita ha raggiunto 8,4 milioni di utenti attivi mensili, con una media di 4,6 milioni di utenti attivi ogni giorno.

Milano Moda Donna: Primo giorno

Hanno aperto Milano Moda Donna dieci brand: Grinko, Blugirl, Genny, Simonetta Ravizza, Gucci, Fay, Alberta Ferretti, N°21, Fausto Puglisi, Francesco Scognamiglio e Roberto Cavalli.

Il brand più coinvolgente su Instagram, durante la prima giornata, è stato sicuramente Gucci, con 500mila interazioni e 15mila nuovi followers; gli hashtag più engaging della casa di moda fiorentina sono stati #guccifw16 e #alessandromichele, il nuovo direttore creativo.

Gucci_best_content

 

Segue Roberto Cavalli, che con i suoi post dedicati all’Art Nouveau ha totalizzato più di 136mila interazioni totali.

I fashion brand che sono risultati più attivi durante la giornata sono: N° 21, Alberta Ferretti e Blugirl.

Il post più coinvolgente è di N°21: un regram di una foto street style di Chiara Ferragni.

 

n21_Ferragni (FILEminimizer)

Tra gli altri brand che hanno spiccato su Instagram, segnaliamo Simonetta Ravizza con l’engagement rate – il numero di interazioni rapportato al numero di followers –  più elevato.

Uno dei look di street style più fotografati è stato quello di Anna Dello Russo con un abito firmato Gucci.

 

Anna_dello_Russo_Gucci_Streetstyle (FILEminimizer)

Milano Moda Donna: Secondo giorno

Nel secondo giorno, giovedì 25 febbraio, hanno sfilato: Max Mara, Costume National, Luisa Beccaria, Fendi, I’m Isola Marras, Anteprima, Emilio Pucci, Les Copains, Cristiano Burani, Prada, Daniela Gregis, Byblos Milano e Moschino.

Il brand più coinvolgente sul social network è stato Prada, che con il suo nuovo progetto #premonition ha raggiunto più di 515mila interazioni e 7,2 milioni di followers.

Prada_MFW_Day2 (FILEminimizer)

Il profilo che invece ha incrementato più di tutti la sua follower-base è Fendi che, in una sola giornata, ha acquisito oltre 12mila nuovi seguaci.
Ha interessato particolarmente lo scatto con protagonista Kendal Jenner in passerella.

 

Fendi_Kendall_Jenner_MFWDay2 (FILEminimizer)

Moschino si è rivelato molto attivo su Instagram, arrivando a pubblicare il numero maggiore di contenuti.

Alla sfilata di Max Mara, Natalie Dormer, protagonista della serie TV “Il Trono di Spade”, ha favorito un elevato numero di interazioni totali – circa 19mila.

Milano Moda Donna: Terzo giorno

Nel corso del terzo giorno di Milano Moda Donna, venerdì 26 febbraio, hanno sfilato: Diesel Black Gold, Emporio Armani, Uma Wang, Sportmax, Etro, Iceberg, Marco De Vincenzo, Tod’s , Elisabetta Franchi, Aigner, Versace e Atsushi Nakashima.

Versace è il brand che ha coinvolto maggiormente la community di Instagram con più di 240mila interazioni e 15mila nuovi followers; risultati raggiunti grazie alla presenza in passerella di tre tra le top model più seguite sui social: Kendall Jenner (50 mln di followers), Irina Shaik (5,1 mln) e Gigi Hadid (14,1 mln).
Il contenuto più coinvolgente è una foto che ritrae Kendall, la vera regina social delle passerelle meneghine.

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Segue Emporio Armani con più di 134mila interazioni totali per la sua nuova collezione “New Pop”, un tripudio di colori che è piaciuto al popolo di Instagram.

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Tod’s è il brand più attivo del terzo giorno della Milano Fashion Week.
Grande successo ha avuto la performance dell’artista Vanessa Beecroft con la top model Karlie Kloss (4,1 mln followers) distesa sul tavolo da lavoro, come in una vera fabbrica italiana.

MFW_Day_3_Tod's_Vanessa_Beecroft

 

Milano Moda Donna: Quarto giorno

Nel quarto giorno, sabato 27 febbraio, hanno sfilato 13 brand: Bottega Veneta, Ujoh, Antonio Marras, Blumarine, Leitmotiv, Ermanno Scervino, Jil Sander, Cividini, Gabriele Colangelo, Aquilano Rimondi, Philosophy di Lorenzo Serafini, Ports 1961 e Philipp Plein.

Il brand che ha raccolto il maggior numero di interazioni su Instagram è stato Philipp Plein con 18,3 milioni interazioni, ottenute grazie alla performance live del cantate Chris Brown (24 mln)
L’hashtag più coinvolgente è stato #PleinHero, già sperimentato con successo durante Milano Moda Uomo.

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L’account che invece ha incrementato maggiormente la propria follower-base è Philosophy di Lorenzo Serafini con 6mila nuovi seguaci; tra gli hashtag più coinvolgenti, #phfw16 e #instatakeover di @fashiontomax.

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Il numero più elevato di follower totali è stato raggiunto da Bottega Veneta, che si è anche distinta per aver pubblicato i tre contenuti più engaging, tratti da foto della collezione disegnata da Tomas Maier.
Tra le super modelle che hanno sfilato per Bottega Veneta, anche Irina Shaik che su Instagram conta di una community di oltre 5 milioni di seguaci.

 MFW4_-_Bottega_Veneta_-_Irina_Shaik

 

MFW4_-_Bottega_Veneta

Infine, il brand più attivo del quarto giorno della MFW si è rivelato Blumarine, con più di 25 contenuti pubblicati, generando anche un buon numero di interazioni totali con i suoi visoni anni ’80.

Milano Moda Donna: Quinto giorno

Nel corso del quinto giorno di Milano Moda Donna, domenica 28 febbraio, hanno sfilato: Alberto Zambelli, Marni, Richmond, Laura Biagiotti, Stella Jean, MSGM, Salvatore Ferragamo, Trussardi, Au Jour le Jour, Missoni e Damir Doma.

Marni è stato il brand più coinvolgente, con quasi 53mila interazioni totali e 5.600 nuovi followers, grazie alle sue foto incentrate sui dettagli e sui particolari della #MarniFW16 Collection

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Segue Salvatore Ferragamo, l’account più seguito su Instagram con 1,1 mln di followers: il mood artistico anni ‘20 e ‘30 di #MassimilianoGiornetti è stato molto apprezzato dagli utenti.

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Missoni ha catturato l’attenzione della community di Instagram conquistando un terzo posto per engagement con 24mila interazioni: gli hashtag più coinvolgenti sono stati #missoniwomen e # reigningonknitwearsince1953.
Il brand più attivo su Instagram è stato Trussardi con 27 post dedicati alla sua collezione easy chic.

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Pessima performance social – con un tasso di engagement di sole 3.800 interazioni –  per MSGM, vittima del suo direttore creativo, Massimo Giorgetti, che ha invitato i presenti alla sfilata a non utilizzare i social durante la sfilata.